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StudioDEGAMA 

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Lo Studio “Vasco de Gama” del Dott. Alberto Stilgenbauer si trova sul territorio di Ostia Lido, Roma ed è costituito da un gruppo di professionisti che operano in diversi ambiti d'intervento.

 

Proponiamo interventi per problemi e difficoltà psicologiche che riguardano la sfera emozionale e relazionale  all'interno dei contesti di convivenza entro diversi setting: consulenze e psicoterapie individuali, familiari, di coppia, di gruppo. gli ambiti di intervento possono riguardare la famiglia, la scuola e l'università, l'ambiente lavorativo. 

Ci occupiamo delle difficoltà espresse attraverso sintomi come ansie, fobie, 

depressioni, disordini alimentari, dipendenze.

 

Un settore specifico è dedicato alla Scuola per le problematiche e difficoltà che possono nascere tra bambini/ragazzi, famiglie e insegnanti.

 

Inoltre lo Studio dedica percorsi rivolti a persone e familiari che attraversano la difficile esperienza sintetizzata nel termine oncologico e delle patologie organiche gravi.

 

Lo Studio svolge attività di Formazione; Ricerca e Intervento nei contesti di convivenza, d’impresa lavorativa e sociale.

 

​Per Informazioni chiamare:      328.16.10.542

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 ESSERE PEZZI UNICI

Riflessioni in chiave gruppoanalitica sul rinascere

Dott. Alberto Stilgenbauer
 

Essere dei pezzi unici, ossia fare parte dell’artigianato, non dell’appartenenze dozzinali realizzati dalle grandi fabbriche degli scarti, essere un’entità definita e contemporaneamente indefinita per essere in una continua trasformazione rispetto al tutto sempre uguale, conforme al controllo qualità istituzionale della produzione di massa.

Essere pezzi unici prevede una continua ricerca di chi si è, sconosciuti a noi stessi e agli altri, ma soprattutto a noi stessi, mai classificabili, catalogabili, archiviabili da un restante che ha accettato i dettami e le criterializzazioni istituzionali del senso comune, del politically correct, della dimensione ideologica dell’immobilismo che fa dire: “Ognuno deve sapere qual è il suo posto nella società!”, una specie di ricerca del loculo dove riposare per tutta l’esistenza terrena. E poi guai a uscirne fuori, guai ad avere l’ombra del dubbio, guai a vedersi allo specchio con occhi diversi, ma soprattutto nuovi, desiderosi di conoscersi e di amarsi scoprendosi giorno dopo giorno.

E sono dolori se qualcuno cerca o anche semplicemente mette in dubbio il sapere “corretto”, immediatamente si diviene emarginato, additato dal senso comune, etichettato con diagnosi che sembrano fatte da chi ha paura delle diversità personali, di chi teme le mutazioni genetico sociali, fino a ridurre la persona in cerca di sé ad una scritta manualistica, casistica, frequenziale che assomiglia al sacramento della confessione in chiesa, del tipo: quante volte hai peccato? E logicamente figliolo! O che permette di far dire ad una ragazzina di tredici anni: “puttana”, nella speranza che forse si ritrovi in questo termine, e se per caso si ribella per un ancestrale senso di rispetto di se stessa, beh, allora si chiama la polizia, allora scatta il T.S.O., tanto la psichiatria fornirà la giusta dose della pozione magica anti individuante. E che dire dell’insopportabilità di un ragazzino di dieci anni che non riesce a stare fermo, che ha bisogno di muoversi di saltare per scoprire dove poter andare a finire, mentre altri compagni gli riversano su di lui la figura invidiata del capro espiatorio pur di non mettere in discussione l’incapacità invidiosa di dare senso alla realtà in maniera provocatoria. Ed allora ecco pronta la parola magica che blocca e condanna: ADHD!

Forse abbiamo smarrito il senso della libertà per una briciola di illusoria sicurezza, di illusoria immortalità, di una massa di persone che si nascondono l’un l’altre dietro se stesse, magari tutti in fila per ricevere il rancio o la dose di vaccino all’mRNA e l’approvazione del superiore.

Per Diego Napolitani in “Individualità e Gruppalità” 2006 ed. IPOC, pag 13:

Libertà significa esprimersi secondo un principio proprio, letteralmente secondo auto-nomia in contrapposizione a nomos condominiale, all’eteronomia.

Andare oltre il proprio condominio interno, ed anche il condominio esterno che in noi stessi si riflette, fatto di entità, o meglio proprio come sottolinea Napolitani, di gruppalità interne che ci abitano, chiuse in sé o cortesi, aperte o sconosciute, proprio come in un condominio, nel nostro condominio interno. Ma è duro andare oltre, andare oltre significa entrare nella dimensione della solitudine e dell’incertezza, dell’angoscia decisionale. Sempre Napolitani:

Ma andare oltre, trasgredire la propria intima eteronomia significa patire lo spazio di quel condannato, nel racconto di Kafka nella colonia penale, al quale veniva inciso nella carne il monito”Rispetta i tuoi superiori”. Non è solo il martirio della colpa a dover essere affrontato, ma bisogna anche resistere all’”accattivante” canto delle Sirene del “tutti a casa, e per sempre!”

Uscire dalla schiavitù è sempre un lavoro di individuazione, di capire dove si è, che cosa si sta facendo, per capire chi si è, per non cadere dalla schiavitù del conformismo alla schiavitù della follia, quest’alternarsi tra questi confini alla ricerca esplorativa del nuovo, in una sensazione di responsabilità decisionale non istituzionale della dicotomia giusto o sbagliato, porta all’autonomia decisionale messa in relazione alla realtà progettuale, una costruzione che si svolge procedendo un continuo andare e tornare nella propria essenza in costruzione.

Uscire dal proprio condominio interno e esterno significa rinascere da un nuovo concepimento, un concepimento non più bio-genetico, ma in un reinfetarsi nel buio alla ricerca di sé, alla costruzione di sé, una ricostruzione, e spesso una costruzione, della propria specifica autopoiesi simbolica, e sempre con le parole di Diego Napolitani:

quella emergenza specificatamente umana consistente nel proprio trascendersi nel mondo.

Una continua rinascita del nostro esistere che attraversa il tempo e che è infinibile.

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